Un rimprovero ingiusto, seguito da uno sbuffo
di insofferenza da parte sua, avevano provocato lo sdegno di suo padre
che l’aveva scacciata dalla sua tavola. In silenzio irritato si era
ritirata, ma non nella sua stanza come aveva ordinato il Marchese. Era
corsa nel parco per sfogare la sua rabbia, e si era rifugiata in quello
che, fin da bambina, considerava il suo rifugio segreto: un grande
albero con una cavità piuttosto profonda all’interno, su, in alto,
nascosta fra il fogliame rigoglioso; e lì si era raggomitolata
rimuginare.
In un primo momento, quando aveva cominciato a
sentire le grida terrorizzate venire dal castello, era stata per
scendere e correre in soccorso, poi aveva visto un gruppo di contadini
passare sotto l’albero con bastoni, falci, e moschetti; li aveva sentiti
gridare il loro odio nei confronti dei Saint Vire, e si era appiattita
terrorizzata nel nascondiglio, comprendendo appieno quanto stava
accadendo.
“Come siete riuscita a fuggire?” chiese Gilles.
“E perché mai siete tornata a Parigi?”
Margot sospirò piano.
Era stata due giorni interi su quell’albero,
senza bere e senza mangiare, odiando furiosamente i rivoltosi che
l’avevano cercata instancabilmente. Poi, spente negli orecchi le grida
di tutti i morti trucidati, e con negli occhi gli ultimi riverberi delle
fiamme che avevano bruciato il castello, era scesa.
Non aveva idea di dove andare, a chi chiedere
aiuto. A Pacy i Saint Vire erano forse odiati da tutti. Il pensiero
della zia, sposata a un inglese che viveva a Londra, l’aveva sfiorata,
certo; ma la strada per raggiungere la costa era tanta, troppa, in
quelle condizioni. Poteva essere violentata lungo la strada; denunciata
o perfino uccisa.
Dopo quanto era accaduto, la provincia le
faceva molta più paura della città; e all’improvviso le era parso che
per lei non potesse esserci nessun altro posto, come Parigi, dove
passare inosservata. Lì c’era ancora l’avvocato di suo padre. Un uomo
fidato, fedele alla famiglia, ne era certa; l’unico che avrebbe potuto
soccorrerla.
E così aveva fatto, trovando l’aiuto sperato.
L’avvocato le aveva trovato un posto modesto ma sicuro dove andare e lì,
da madame Deussé, si era fatta passare per una provincialotta fiduciosa,
un po’ sciocca, vedova di un fervente rivoluzionario.
“Sono stata una stupida. Nessuno con i miei
natali, con un briciolo di cervello, sarebbe tornato a Parigi senza
sapere se poi sarebbe riuscito uscirne” mormorò sorridendo amaro.
Ogni volta che il sole calava, salutava la
notte ringraziando Dio di non essere stata scoperta, perché ogni giorno
venivano arrestate persone del suo rango e mandate alla Conciergerie.
Aveva cercato di interpretare al meglio la sua parte, ma non era servito
ugualmente dopo l’assalto alle Tuileries, dopo il massacro delle guardie
svizzere, dopo che Parigi era praticamente stata messa agli arresti nel
settembre del 1792.
“Sta accadendo qualcosa di terribile, la fuori,
vero?”
Delacroix esitò a rispondere. Era così giovane
e fragile con quel corpo sottile e delicato; una creatura da amare e
proteggere fino alla morte. Ma era anche sveglia e intelligente, e aveva
dimostrato di avere forza di carattere e molto coraggio. Poteva essere
sincero.
“Stanno uccidendo tutti. Mandano fuori i
prigionieri due o tre alla volta, in pasto alla folla aizzata dai
Marsigliesi”.
Margot pensò al ragazzo al suo fianco e alla
donna incinta. “Perché... perché?” Ma sapeva già che era una domanda
inutile, che non esigeva risposta. La rivoluzione stava diventando
qualcosa di mostruoso di cui non riusciva ormai più a immaginarne la
fine.
“Come avete scoperto che ero qui?”
“Pura casualità”. Ed era vero.
Era solo grazie al caso che in una taverna
avesse sentito un fervente giacobino dire che era stato dato scacco a un
altro ‘sangueblu’. Una certa marchesina Saint Vire, che aveva avuto
l’indecenza di spacciarsi per la vedova di un patriota.
Casualità, soprattutto, che lui, dopo essere
sbarcato da una nave proveniente dall’America, durante il viaggio per
Parigi a causa di un incidente alla carrozza fosse stato costretto a
fermarsi a Pacy, nei pressi di un castello distrutto.
Mentre irritato per quell’inconveniente dava un
calcio a un ciottolo vicino a un cespuglio, aveva portato in vista
qualcosa che brillava sotto il sole. Un medaglione d’oro, il cui
interno racchiudeva la miniatura della più bella fanciulla che avesse
mai visto. Aveva guardato ammirato quei capelli ondulati e nerissimi, in
splendido contrasto con la pelle d’avorio. Affascinato aveva sfiorato
col dito la bocca piena del colore del corallo e si era perso in quei
grandi occhi verde giada, vivi e bellissimi.
Aveva sorriso scuotendo la testa mentre metteva
il medaglione in tasca, probabilmente perso durante il saccheggio,
pensando che l’esecutore della miniatura avesse esagerato, rendendo al
meglio i colori e la bellezza di quella ragazza. Poi più tardi, alla
locanda, con abili domande aveva cercato di soddisfare la sua curiosità,
scoprendo che il castello era appartenuto ai Saint Vire, ormai tutti
massacrati tranne la figlia, sfuggita a quello che l’oste aveva ritenuto
la giusta punizione.
Quella sera, aveva osservato di nuovo la
miniatura. La fanciulla ritratta poteva essere la marchesina Margot
Saint Vire? Dalla descrizione avuta sarebbe potuta esserlo. E spesso,
riguardandola nei mesi che erano seguiti, aveva pensato a lei come a un
sogno, quasi come a un amore perduto che nessun’altra donna poteva
eguagliare...
La guardò quasi stupito. Era dannatamente
bella! Incredibile quanto la miniatura fosse fedele all’originale.
-
continua -